Decreti per fronteggiare il coronavirus: confusione e contraddizioni
LETTERA APERTA DEL DOTT. SALVATORE SISINNI
Specialista in Malattie Nervose e Mentali
Primario ospedaliero di Psichiatria
Sino a pochi mesi fa, nessuno avrebbe immaginato che la Sanità di tutto il Pianeta, dall’oggi al domani, sarebbe caduta nel baratro e avrebbe conosciuto uno dei momenti più bui della Storia.
In passato - la Storia della Medicina, ce lo ricorda - vi erano state altre tragedie: la Peste descritta dal Boccaccio nel ‘300; quella del Manzoni nel capolavoro “I Promessi Sposi”; il Colera a Napoli nella prima metà dell’800, regnanti i Borbone; i tanti casi di Tubercolosi polmonare (leggi: Tisi o “Mal sottile”) di cui s’ammalavano grandi geni della musica (Chopin); della pittura (Munch, autore del famoso dipinto “L’urlo”); il livornese Amedeo Modigliani, solo per fare qualche nome.
Ma, allora, le conoscenze scientifiche erano molto limitate. Nel ’300 e nel ’500 della Peste nella città di Roma non si conosceva l’agente eziologico di quella malattia - la Pasteurella Pestis -, come pure per il Colera a Napoli, non si conosceva ancora che la causa vera non erano le cattive condizioni igieniche della città (quelle erano concause), bensì un batterio, il Vibrione. E per il “Mal sottile”, se si sapeva che era dovuto al Bacillo scoperto da Koch non era ancora stata scoperta la Streptomicina o altri farmaci (Isoniazide, Rifampicina) ai quali era sensibile.
Oggi, in piena era della Medicina tecnologicamente avanzata, con strumenti diagnostici sofisticatissimi (Tac, Risonanza magnetica, Pet) un virus ultramicroscopico, il Covid-19, mette in ginocchio, provoca contagi in maniera esponenziale, mentre i morti non si contano e i cimiteri, almeno nel nostro Paese, non ce la fanno a dare loro una dignitosa sepoltura. E, come se non bastasse, nel nostro Paese - confessiamolo - non c’è stato mai molto ordine, ormai, regna un grande disordine, un totale disorientamento tra la gente.
Ottima occasione per innescare polemiche a non finire, risse televisive senza precedenti tra politici, scienziati, giornalisti. E, come sempre, un fatto esclusivamente tecnico, scientifico, sanitario diventa caso clamorosamente politico.
Per convincermene sino in fondo, nel giro di una settimana o poco più, mi è bastato assistere alla trasmissione televisiva “Non è l’Arena”, dove si esibiva uno Sgarbi scatenato (come al solito) contro l’idea del conduttore Massimo Giletti di fargli commentare il famoso dipinto di Brughel, intitolato “Il Trionfo della Morte”, raffigurante scene da brivido, sconvolgenti di cadaveri, vittime della Peste (siamo nel ’500), ammassati uno sull’altro per terra o caricati sui carretti e debordanti dalle due sponde laterali degli stessi.
Il polemista Sgarbi si è rifiutato di farlo, lasciando di stucco Giletti - e ha fatto bene, secondo me, al di là delle “parolacce” con le quali spesso “infiora” i suoi interventi -, spiegando che questo è tempo di speranza, fiducia nel domani. E, infatti, proponendo a milioni di telespettatori il “Trionfo della Morte” non si fa altro che alimentare la paura, trasformandola in panico e poi in vera e propria psicosi. A che pro? A chi giova? Questo tipo d’informazione quale scopo si propone di raggiungere?
Simile considerazione ho fatto la sera del 26 marzo scorso, quando ho ascoltato la trasmissione su Mediaset condotta dal bravo Paolo Del Debbio che non riusciva a sedare gli animi degli ospiti. Chi esaltava l’azione del Governo Conte, chi la criticava aspramente, dicendo che, rinnovando i decreti settimana dopo settimana (ce ne sono già tre ed è in arrivo il quarto), limitativi della libertà individuale, non si fa altro che aggiungere disordine al disordine. Ne discutevano animatamente - sarebbe meglio dire litigavano - esperti della materia, politici di destra e di sinistra.
Voglio dire, per concludere, ora la mia. Bene i consigli sull’uso della mascherina e quello di osservare la distanza di almeno un metro uno dall’altro, disinfettare gli ambienti, i posti dove si mettono le mani, ma per farlo, non dovrebbero esserci le mascherine per tutti? Si pensi che esse mancano addirittura negli Ospedali agli operatori sanitari, i più esposti al contagio. E ancora, come si disinfettano i tavoli, gli oggetti, se da settimane non si trova più l’alcol denaturato nelle farmacie e neanche nei negozi? Ancora, perché si sono chiuse per decreto le librerie quando la gente chiusa in casa viene invitata a leggere? Ancora, alcuni professionisti (ingegneri, commercialisti, avvocati, ecc.) possono lavorare ma come fanno se, esaurite le scorte di carte o le cartucce delle stampanti dei loro computer, i negozi dove acquistarli sono chiusi? Ancora una volta, perché proibire ad uno che non può lavorare o ad un vecchietto di recarsi in una casa al mare o in campagna, dove c’è sicuramente più spazio che in un condominio del paese o della città? Il rischio di contagio per loro non sarebbe molto minore? Perché, poi, lasciare aperte le Chiese se i fedeli non possono accedervi liberamente per pregare? Sul modulo di autocertificazione possono scrivere che si recano per pregare? Il carabiniere o il poliziotto di turno, addetto alla sorveglianza e autorizzato a propinare sanzioni pecuniarie d’un certo peso, lo consentirà? Oppure dirà che possono pregare da casa, tanto la preghiera è sempre valida? Quando, poi, il Papa ha esortato i religiosi a non fare i “Don Abbondio” e ad uscire dalle Chiese per andare a trovare chi è solo ed ha bisogno di conforto. Lui stesso, per dare l’esempio, si è recato, coraggiosamente, a piedi, debitamente scortato, in pellegrinaggio, in una Chiesa di Roma per pregare San Marcellino, che, tanti secoli fa, liberò la città dalla Peste.
Conclusione: quanta confusione, quanto disorientamento, quanti linguaggi diversi!
L’augurio che bisogna farsi è che i medici e i loro collaboratori (infermieri, barellieri, autisti del 118, ecc.) resistano in questa “tempesta sanitaria” e, ancora, che i ricercatori scoprano un farmaco o un vaccino efficace; e, per chi crede, che il Buon Dio, dall’Alto, dia una mano per tornare a vivere, al più presto, un po’ serenamente.
Già perché non c’è solo la malattia del Coronavirus, ma tante altre che non sono andate né andranno in vacanza (tumori, cardiopatie varie, Alzheimer, ictus, ecc.) non bisogna perdere la speranza in un domani migliore.
A tal proposito, il Presidente della Lilt, il pugliese Schittulli ha fatto sentire la sua autorevole voce con queste parole: “I malati di cancro non devono sentirsi di serie B”.
Il detto di un anonimo recita: “La salute è un dono facile da perdere, difficile da conservare, difficilissimo da recuperare. Un dono affidato alla cura di ciascuno, prima che al suo medico, da difendere giorno per giorno”.
Mentre, poi, l’intellettuale trasgressivo Oscar Wilde considerava amaramente: “… peccato che impariamo le lezioni della vita solo quando non ci servono più”. L’avrà detto in un altro contesto, ma ora lo possiamo tenere presente noi in questo periodo buio che sta attraversando la Sanità di tutto il mondo.