L’alcolismo giovanile
LETTERA APERTA DEL DOTT. SALVATORE SISINNI
Specialista in Malattie Nervose e Mentali
Primario ospedaliero di Psichiatria
In questi ultimi tempi sta interessando e preoccupando l’opinione pubblica, in particolare genitori ed educatori, il fenomeno dell’alcolismo giovanile. Ne parlano i telegiornali e, soprattutto, ne scrivono diffusamente i giornali. Come anche del tabagismo: si abbassa sempre di più l’età della prima sigaretta e il vizio sta contagiando anche la prima adolescenza femminile. Cosa, questa, un po’ strana e, sicuramente, non prevista. Frutto dei tempi che cambiano e - ahinoi! - non sempre in meglio.
Il 3 giugno scorso un giornale, a diffusione nazionale, titolava a caratteri cubitali: “Tra i giovanissimi il boom delle abbuffate alcoliche”. Un titolo che, soprattutto ai genitori, fa “tremar le vene e i polsi”, direbbe il Sommo Poeta.
E non preoccupano di meno i due sottotitoli dell’articolo. Il primo: “Ricerche dell’Istituto Toniolo: per il 20% mix di drink, soprattutto il sabato sera”. Il secondo: “Sempre più ragazze ubriache, un modo per farsi accettare”.
Il progresso ha due facce: quella buona e quella brutta. Noi, umani del Terzo Millennio, stiamo assistendo, impotenti, a quella brutta. Purtroppo.
I nostri genitori e nonni, figli entrambi di due guerre, la seconda delle quali persa rovinosamente, hanno vissuto la miseria, toccato con mano la fame, ma non hanno conosciuto, e nemmeno immaginato, questo problema.
L’articolo si dilunga, poi, in particolari che ritengo opportuno citare testualmente: (A proposito del) “consumo smodato di bevande alcoliche - principalmente drink realizzati con superalcolici e amari - concentrato in brevissimi periodi di tempo. Un’abitudine ormai consolidata per i weekend di almeno il 20% dei ragazzi italiani che, liberi da impegni scolastici e lavorativi, si lasciano andare in particolare il sabato (81,6%)”.
I dati sopra riferiti e virgolettati sono credibili, cioè non sono bufale, perché frutto di una ricerca guidata da Elena Marta, docente di psicologia sociale e comunità presso l’Università Cattolica di Milano.
Stando così le cose, lo scenario è davvero preoccupante e c’è poco - come si suol dire - “da stare allegri”. Soprattutto da parte dei genitori e degli educatori delle Scuole medie e superiori.
In un articolo del mio libro, dal titolo “La gioia di dare senza nulla ricevere” (elogio del volontariato), pubblicato nel settembre 2018, così mi esprimevo: “L’alcol e il tabacco sono due sostanze sulla cui nocività per la salute, non vi è alcun dubbio e, ciononostante, continuano ad essere accettate nella nostra cultura e non vengono ufficialmente considerate droghe”.
Eppure, a ben riflettere, lo sono. Nel senso che in una buona percentuale di casi, sono la porta d’ingresso ad altre droghe (cocaina, eroina, droghe sintetiche di nuova generazione) ben più pesanti e devastanti.
Le leggi per limitare i danni dell’uso o abuso di esse ci sono ma, come spesso succede, i risultati non si vedono o non rispondono affatto alle aspettative.
Ad esempio, per quanto riguarda gli alcolici e i superalcolici, c’è una legge che prevede il divieto della vendita nelle aree di servizio lungo le autostrade tra le ore 22 e le ore 6, con una multa variabile da 5 a 10 milioni delle vecchie lire - è facile fare il calcolo in euro, la moneta di oggi -; l’abbassamento del tasso alcolico - espressione dello “stato di ebrezza” per la Polstrada - da 0.8 a 0.5 gr. di alcol per litro di sangue; il divieto di spot televisivi di alcolici nella fascia oraria più seguita da minori, e cioè tra le ore 16 e le ore 19.
Evidentemente queste misure non sono sufficienti. Bisogna che vi sia una presa di coscienza della gravità del fenomeno per poterlo prevenire. Adibite a questo compito, secondo il mio modesto parere, sono la famiglia e la scuola, le due agenzie educative per eccellenza, le due più naturali: bisogna inculcare l’idea che bere in modo sregolato e abituale fa male, sia al corpo che alla mente, e che l’alcol, a lungo andare, può creare dipendenza.
Concludo con le parole di uno psichiatra, Giacomo Dacquino, che si riferiscono a chi sia finito nella rete, molto pericolosa della dipendenza vera e propria: “L’alcolista è un malato da curare, non da giudicare in nome del moralismo. Quando trova qualcuno che si metta in sintonia con lui, spesso riesce a fermarsi nella discesa verso la distruzione e a risalire la china”.
Queste parole non vogliono essere una sorta di “allarme terroristico” per i tanti giovinetti che, a fine settimana, cercano di vivere momenti di spensieratezza e allegria promiscua nei pub e nelle discoteche, tanto di moda ai giorni nostri, ma un benevolo invito, da parte di chi ha esperienza e competenza in materia, a non abusare, a non trasgredire. Se le leggi ci sono c’è un senso. Aggirarle non conviene; vuol dire volersi far del male da soli, nonché creare problemi seri alle proprie famiglie. Perché in certi tunnel - e quello dell’alcol fuori misura lo è, a pieno titolo - è facile entrare, ma è molto difficile uscirne.