Dall’incastro amoroso all’incastro patologico
A cura della
Dott.ssa Gilda De Giorgi
Psicoterapeuta e psicologa clinica, specializzata in salute
relazioni familiari e interventi di comunità
Maglie (LE)
Sembra ormai una consuetudine sentir parlare di femminicidi, abusi e violenza sulle donne, senza citare poi la Giornata Internazionale per l'Eliminazione della Violenza contro le Donne, indetta per la prima volta il 25 novembre del 1999 dall’Assemblea Generale della Nazioni Unite. La data in questione fu scelta da un gruppo di donne attiviste, riunitesi nell'Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà nel 1981, in ricordo del brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l'impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo (1930-1961), il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell'arretratezza e nel caos per oltre 30 anni. Dal ’99 ad oggi i dati ISTAT registrano un aumento quasi spropositato delle denunce e quindi delle situazioni di violenza sulle donne in Europa e non solo. Esistono diverse teorie a sostegno di tale dato.
Quella femminista, ad esempio, supporta la tesi secondo cui la differenza tra l’ante factum e il post factum, ossia la Giornata Nazionale, sia situata nel ruolo diverso che la donna ha assunto nel corso del tempo, da vittima predestinata per ruolo sessuale, a essere alla pari dell’uomo. Altre teorie sostengono che non vi sia stato un aumento considerevole di episodi di violenza, ma piuttosto un aumento di attenzione, soprattutto mediatica, rispetto ad una vecchia consuetudine ora diventata fenomeno sociale e di massa. In sostanza, non sono aumentati gli “uomini che odiano le donne”, ma i giornalisti che a questi uomini dedicano la loro affamata attenzione. In questa sede, si ritiene che aldilà del rumore mediatico, il fenomeno meriti la dovuta attenzione, per una semplice questione ontologica: se esiste, quindi viene riconosciuto, è bene che se ne parli e si chiariscano determinati aspetti.
Innanzitutto occorre elicitare che non esiste solo la violenza sulle donne, ma anche quella sull’uomo, oggi taciuta, domani chi lo sa, e probabilmente poco ri-conosciuta. Entrambe si inscrivono in un quadro più ampio, che è la VIOLENZA DI GENERE, ossia ogni forma di agito, e non, lesivo e discriminante rispetto al genere. Il genere è uno dei quattro fattori psicosessuali che determinano la sessualità, e che può essere definito come la sensazione e la convinzione intima e profonda, permanente e precoce di essere uomo o donna.
Il genere esprime la presenza delle strutture mentali di “mascolinità” e “femminilità”, che aiutano ad attribuire e discriminare sé e gli altri, risultato dell’interrelazione tra le attitudini dei genitori (le identificazioni parentali), l’educazione ricevuta e l’ambiente socioculturale. Per tale ragione, all’interno di un incastro amoroso è possibile che sia l’uomo che la donna acquisiscano in modo complementare il ruolo di vittima o carnefice. A tal proposito, con incastro si intende l’incontro tra due individui, dal quale scaturisce una relazione sentimentale o meglio diade, da non ridurre ad un piano meramente fisico.
L’incastro può definirsi come l’incontro di due mondi, di due storie, che insieme danno vita ad una realtà condivisa, linfa vitale della relazione; insieme si costruisce una sfera mentale di coppia, nella quale ognuno costruisce i propri bisogni pur conservando la propria individualità, per cui una nuova sfera psichica in cui interagiscono reciprocamente due soggettività.
La tipologia di incastro che si ritiene opportuno sciorinare in questa sede è quella contraddistinta dal fenomeno della violenza e quindi da un processo relazionale patologico di uno o di entrambi i partner. Attraverso una disamina della letteratura di orientamento psicologico, è possibile riscontrare diversi modelli teorici che hanno tentato una spiegazione/interpretazione del fenomeno dell’incastro patologico. Nella fattispecie si passa da teorie centrate sull’individuo e l’individualità, a teorie che pongono il focus dell’attenzione sulla relazione. Nella prima categoria è possibile rintracciare l’approccio psicodinamico e quello dell’apprendimento sociale. In entrambi si parte dal presupposto che molto probabilmente i due partner della diade a carattere violento abbiano sperimentato nell’infanzia uno stile relazionale violento o una forma di accudimento violento.
In sostanza si ipotizza che un bambino, cresciuto e accudito in un ambiente violento da un caregiver violento abbia assunto tale stile genitoriale/ relazionale come normale modo di interagire. In questa ottica il carnefice e la vittima nella loro relazione adulta attuale ripropongono dinamiche psichiche e relazionali del passato. Secondo tale prospettiva, non solo lo stile relazionale viene riproposto in età adulta forzando la relazione attuale, ma, in un certo senso è come se i partner venissero “selezionati” per ricreare modelli relazionali precoci, anche se disfunzionali, in “un sistema che implica la partecipazione sia di chi si sottomette al potere sia di chi lo esercita”.
A questo secondo l’approccio dell’apprendimento sociale, si aggiunge l’ipotesi secondo cui la famiglia è il primo contesto di socializzazione dell’individuo, nel quale avviene la trasmissione intergenerazionale della violenza attraverso due differenti modelli: quello “generalizzato”, che si verifica quando la violenza nella famiglia d’origine trasmette la tolleranza e l’accettabilità di questa tra i membri del nucleo familiare, così da poter incrementare la probabilità di qualsiasi forma di violenza all’interno della famiglia nella successiva generazione; quello “specifico” verificabile quando gli individui riproducono il particolare tipo di violenza al quale sono stati esposti come quella tra uomo e donna. In parole semplici, si impara ad essere vittime, si impara ad essere carnefici.
Nella seconda categoria, prendendo in esame l’approccio sistemico relazionale, si presuppone che la diade, violenta e non, non si possa ridurre alla sommatoria di due individualità e soggettività, ma possa essere definita un sistema, co-costruito da entrambi i partner, con propri modelli interattivi, con la sua evoluzione, con i suoi compiti. Tale sistema viene analizzato attraverso l’asse verticale, che riguarda l’individualità, per cui tutto ciò che si è detto nella prima categoria; l’asse orizzontale, che piuttosto si riferisce al processo evolutivo della coppia scandito da “crisi” più o meno prevedibili (eventi normativi) o improvvise e impreviste (eventi paranormativi). In tale prospettiva la violenza si genera attraverso una sorta di escalation a fasi nel momento in cui, nonostante il susseguirsi di eventi normativi e non, la complementarietà dei ruoli nella diade si mantiene rigida, per cui lo scompenso di potere, considerato sano in un contesto flessibile, diventa il presupposto su cui poggia il conflitto, come modalità comunicativa inevitabile. L’escalation, di cui sopra, giunge al “ciclo della violenza”, caratterizzato da tre fasi: costruzione della tensione; incidente o esplosione della violenza; contrizione amorosa o fase della luna di miele.
Dalle suddette teorie e approcci è possibile estrapolare due tipologie di incastri amorosi, che da una relazione sana, ma del tutto particolare, possono sfociare in un incastro patologico. È il caso delle coppie perverse a connotazione narcisistica e delle coppie perverse a connotazione sadomasochistica. Il primo scenario è il frutto dell’incontro tra una personalità narcisistica e una narcisistica complementare. Entrambi i partner sono contraddistinti da fantasie di grandezza, elicitate in un assetto relazionale fagocitante. Se da un lato, il partner narcisistico alimenta la sua autostima lesa attraverso la fusione con l’altro, adulatore e succube, il cui legame fusionale diventa croce e delizia, risorsa e minaccia, da alimentare e rifuggire allo stesso tempo, dall’altro, il narcisista complementare, percepisce la sua esistenza e il suo valore solo nella totale fusionalità con il narcisista, di cui si nutre e funge da specchio, ammirandolo e rimanendo sullo sfondo.
In questo tipo di incastro la dinamica della grandiosità, sprezzante e dura da mantenere da un lato, agognata e quasi rubata dall’altro, la fa da padrone in un gioco di potere che è possibile rintracciare anche nel secondo tipo di incastro, quello sadomasochistico. In questo caso, la collusione mantiene rigidi i ruoli di vittima e persecutore e saldo il legame, oltre il quale non vi è salvezza. Qualsiasi elemento terzo alla relazione viene percepito come minaccia del legame, ontologicamente necessario per entrambi i partner, a tal punto che anche la generatività viene negata. Il possesso dell’altro e la negazione del mondo esterno sono i principi fondanti di questo tipo di incastro, che nutre il sentimento depressivo derivante da un sé deprivato e carente. Inoltre tale relazione è caratterizzata da stereotipi fisici ed emotivi, utili canali di sfogo di ansia da separazione e aggressività. In tale ottica l’aggressività non è solo e banalmente l’espressione di un piacere nell’esperire o infliggere il dolore, ma soprattutto la garanzia del mantenimento della fusionalità. Potenza e impotenza rappresentano la moneta emotiva di scambio tra i due partner.
In entrambe le tipologie di relazione, la collusione soggiace ad un patto segreto di ruoli e investimenti emotivi, che se rigidi portano ad un assetto patologico, il cui conflitto si situa come risorsa staticizzante il legame stesso.
È bene aggiungere a tale disquisizione, che, nonostante ci sia sempre una co-costruzione all’interno dei legami, e quindi un contributo da parte di entrambi i partner, il livello di consapevolezza di tale contributo rimane molto basso. Per tale ragione appare opportuno sfuggire alla logica stereotipica del “la vittima è complice”. Allo stesso modo, occorre sfuggire al desiderio di patologizzare il reo, ossia riconoscere una malattia mentale al carnefice, presente solo nel 9% dei casi, spogliandolo delle sue responsabilità etiche e morali.
Per concludere, ritengo che le argomentazioni trattate all’interno dell’articolo siano esprimibili riassuntivamente nella seguente citazione:
«L’amore è un concetto estensibile che va dal cielo all’inferno, riunisce in sé il bene e il male, il sublime e l’infinito.»
(Carl Gustav Jung)
Carli L., Cavanna D., Zavattini G.C., (2009), “Psicologia delle relazioni di coppia”. Il Mulino, Bologna.
Maltrattamento e abuso all’infanzia, vol. 11, n. 1, marzo 2009, pp., FrancoAngeli Editore, Milano.