Gli elementi distintivi della genitorialità adottiva
A cura della
Dott.ssa Giulia Miglietta
Psicologa - Psicoterapeuta ad orientamento psicodinamico socio-costruttivista
Taviano (Lecce)
“Doppia mancanza” o “doppia nascita”?
Il riconoscimento delle peculiarità della genitorialità adottiva è un aspetto indispensabile del percorso di avvicinamento alla scelta adottiva perché permette al genitore di individuare, comprendere e sfidarsi con gli eventi e le situazioni che questa esperienza comporta e questo percorso implica.
In questa prospettiva, i nuclei attorno a cui si sviluppa il ciclo di vita della famiglia adottiva sono la costruzione del legame affettivo da una separazione e il crescere nella diversità. L’adozione è un’esperienza che si costruisce sulla rottura di relazioni affettive, sulla separazione e sulla costruzione di legami di attaccamento con figure importanti come sono i genitori adottivi per il bambino o immaginarie come lo è il figlio desiderato per i genitori.
La nota distintiva della famiglia adottiva risiede quindi nell'integrazione di storie familiari diverse di cui una è quella del bambino che ha subìto un'interruzione sul piano relazionale e giuridico, mentre l’altra è quella del genitore che ha affrontato la modificazione di un progetto di vita. I momenti di accoglienza sono due e simultanei: il primo in cui il bambino è accolto da una famiglia che ha una storia di relazioni, di affetti, di emozioni; il secondo in cui i genitori sono accolti dal bambino che ha una storia, un passato, un’esperienza relazionale, una precedente appartenenza familiare, molto spesso interrotta da un evento traumatico.
Le esperienze passate, e in particolare il modo con cui il bambino è riuscito a stabilire una relazione di attaccamento con i genitori o con le figure genitoriali sostitutive e a elaborare la separazione e la perdita, influenzano radicalmente il percorso di sviluppo e l'interazione genitori-figli.
In ciò ritroviamo una forte distinzione dalla genitorialità biologica, la quale si fonda sulla continuità relazionale, mentre i genitori e i bambini adottivi costruiscono la propria relazione da una discontinuità di affetti. L'adozione, infatti, non segna l'ingresso di un bambino in una famiglia, piuttosto segna il passaggio da un nucleo parentale ad un altro e questo comporta la necessità di elaborare un passaggio, di ridefinire la propria identità, di riconoscersi come genitori e figli al di là di un’esperienza lineare.
La genitorialità adottiva peraltro è l'incontro di due storie iniziate in due contesti relazionali, culturali e sociali diversi; in particolare, il bambino ha un'origine biologica che si deve andare a intrecciare con un’origine adottiva; questa doppia origine è presente nelle parole del bambino, nei suoi dubbi, nelle sue paure, nella sua voglia di capire, lì dove avverte da parte dei genitori la disponibilità a confrontarsi su questo aspetto.
L’adozione, inoltre, è la storia spesso di un incontro di persone diverse per origine, caratteristiche somatiche, etniche, culturali e sociali. Questa differenza permane durante tutto il ciclo di vita della famiglia e nel percorso di crescita del bambino e rappresenta la specificità principale della famiglia adottiva. La consapevolezza della centralità della "diversità" nell'esperienza della genitorialità adottiva e della filiazione adottiva permette di sviluppare comportamenti volti a prestare attenzione a questa dimensione e a considerarla come elemento centrale della relazione.
Specie nell’adozione internazionale gli aspetti di differenza raggiungono la manifestazione più ampia: diversità di origine, di lingua, di etnia e di cultura e a volte differenze somatiche rilevanti costituiscono gli elementi di base su cui si confronta la relazione genitori-figli, sia nel momento dell’incontro che nell’evoluzione della storia familiare. Quindi la famiglia adottiva è chiamata a crescere nella differenza e a rendere abituali numerosi elementi di diversità, a riconoscerli, apprezzarli e viverli perché possano diventare nella quotidianità un elemento di amore e legame affettivo.
In merito a ciò che distingue la genitorialità adottiva dalla genitorialità biologica ci si pone la domanda su quali possano essere le caratteristiche più specifiche che ne legittimano una distinzione. A questa domanda la dottoressa Paradiso in “Genitorialità adottiva e genitorialità biologica: quali peculiarità” propone delle interessanti risposte.
È innegabile che i genitori adottivi si trovano ad affrontare compiti più ardui rispetto a quelli biologici, sia a livello burocratico, sia e soprattutto a livello emotivo, in quanto questo tipo di genitorialità nasce da un’esperienza di “vuoto”, di privazione della gravidanza. Quest’assenza va riconosciuta, elaborata, accettata e superata in modo che possa essere colta la dimensione di “doppia mancanza” insita nell’adozione, ovvero da una parte una coppia a cui manca un figlio, dall’altra un bambino a cui mancano i genitori.
Se l’adulto riesce a conciliare ed integrare questi due aspetti, riuscirà a compiere anche il passo successivo, cioè quello di cogliere la dimensione della “doppia nascita”, in cui due esseri diventano genitori e un essere diventa persona attraverso la filiazione. In questo modo si coglie la genitorialità su un piano simbolico, in cui il genitore adottivo è accostato a quello naturale, dove entrambi sono donatori di affetto e di pensiero, di vita.
Questa lettura è una “visione trasformativa” della genitorialità, fondata non più sulla trasmissione biologica ed ereditaria, ma su un legame affettivo che si costruisce, consolidandosi giorno per giorno nel cammino adottivo. La “specialità” della genitorialità adottiva si situerebbe quindi nell’accettazione di un bambino nato da altri come figlio proprio senza per questo cadere nella tentazione di cancellare la sua storia, ma riconoscendosi come appartenenti alla comune storia familiare pur nella consapevolezza della diversità delle origini.
La genitorialità adottiva richiede, inoltre, una capacità genitoriale “riparativa” nei confronti dei vissuti dolorosi e penosi propri di un bambino abbandonato, a cui si aggiunge un’uguale capacità di protezione dai vissuti dolorosi, legati alla sterilità e al fallimento, propri invece dell’adulto. Questo significa, come direbbe Bion con il concetto di reverie, che il genitore deve essere in grado di accogliere in sé ed elaborare gli aspetti dolorosi del bambino che sono legati alla sua storia passata, restituendoglieli in forma meno angosciosa e pericolosa, in modo da permettere al piccolo di farli propri e dotarli di significato senza essere costretto a difendersene rimuovendoli come succede nei bambini che non riescono a ricordare e parlare del proprio passato, o proiettandoli come accade nelle crisi di rabbia o di depressione improvvise e devastanti, apparentemente inspiegabili. Infatti avviene che, se il bambino sente che c’è una parte di sé che è “indicibile” agli adulti di riferimento, perché troppo difficile o dolorosa per loro, tenderà a nasconderla nel proprio mondo interno e ad offrire loro solo risposte conformi alle aspettative genitoriali, attuando un adattamento solo parziale e superficiale, in cui il suo passato e il suo dolore continueranno a persistere in un’area nascosta e segreta, in uno spazio non condiviso, prestandosi da ostacolo nella creazione di un rapporto di fiducia con i genitori adottivi.
In definitiva è importantissimo che i genitori sappiano accogliere non solo le parti del bambino che desiderano una nuova vita, quelle parti che in breve tempo imparano una nuova lingua, si adattano al nuovo ambiente e che mostrano tutto il desiderio di essere amate, ma anche quelle legate ad un eventuale passato traumatico, quelle parti cioè arrabbiate, tristi e spaventate, per permettere la loro espressione e per dare loro un significato. Infatti, è proprio la possibilità di accogliere e accettare anche gli aspetti più problematici del bambino, mantenendo un atteggiamento di apertura rispetto ai sentimenti di perdita e di dolore legati alle precedenti figure di attaccamento, ciò che permette di svolgere la basilare funzione di sostegno al figlio nell’elaborazione e ricostruzione della propria vita. In generale, la possibilità di stabilire nuove relazioni deriva dalla possibilità di pensare e mentalizzare l’esperienza di separazione con l’aiuto di adulti significativi per il bambino, evitando così che tale nuova esperienza si trasformi in trauma.
Volendo sintetizzare, la genitorialità biologica è all’insegna della continuità, la genitorialità adottiva è all’insegna delle fratture, ovvero di rotture di progetti di vita, di una serie di battaglie contro la sterilità, alle volte contro le famiglie di origine, contro le istituzioni.
Riferimenti Bibliografici
Dell’ Anna A., Salvatore S. La valutazione psicologica delle coppie richiedenti l’adozione del minore.
Paradiso, L. (2012). Riflessioni sulla genitorialità adottiva e Crescere nella diversità. Il Nido.