Musicoterapia: nuova forma d'arte o di scienza?
A cura della
Dott.ssa Gilda De Giorgi
Psicoterapeuta e psicologa clinica, specializzata in salute
relazioni familiari e interventi di comunità
Maglie
A metà degli anni 50’ si è imposto nello scenario medico scientifico un nuovo sistema di cura, la Musicoterapia. La sua importanza, come anche la sua diffusione, sono in continuo aumento grazie al contributo di ricercatori e medici che, dopo un lungo periodo di silenzio, hanno riportato in auge e implementato questo nuovo tipo di terapia. Tra questi, si ritiene opportuno citare Rolando Benenzon, Orff, Nordoff-Robbins, Alvin. L’inizio del periodo di silenzio viene fatto risalire a metà del Settecento, secolo in cui la Musicoterapia assurge al livello di disciplina scientifica, in seguito al trattato a cura del medico musicista londinese, R. Brocklesby. A lo stesso Benenzon, invece, autore e docente argentino di Musicoterapia, si deve una delle definizioni più accreditate di questa disciplina, dopo quella redatta dalla World Federation of Music Therapy:
"Da un punto di vista scientifico, la musicoterapia è un ramo della scienza che tratta lo studio e la ricerca del complesso suono-uomo, sia il suono musicale o no, per scoprire gli elementi diagnostici e i metodi terapeutici ad esso inerenti. Da un punto di vista terapeutico, la musicoterapia è una disciplina paramedica che usa il suono, la musica e il movimento per produrre effetti regressivi e per aprire canali di comunicazione che ci mettano in grado di iniziare il processo di preparazione e di recupero del paziente per la società."
Interessante appare l’incipit dell’autore “Dal punto di vista scientifico”! E se il punto di vista fosse un altro? Occorre partire da un presupposto scientifico per definire la musica una terapia? Si ritiene che il nodo centrale della questione sia: può una forma d’arte tradursi in scienza? E nella sua traduzione cosa si sottrae dell’una e cosa si aggiunge dell’altra?
In numerose civiltà del mondo antico l’uso della musica per scopi terapeutici è ampliamente documentato. Tale uso però si inserisce all’interno di un modello di pensiero magico religioso o sciamanico, secondo il quale la musica, intervenendo contemporaneamente su anima e corpo, offrirebbe all’uomo numerose risorse per poter raggiungere quella compostezza tale dell’equilibrio psicofisico. Dai numerosi testi antichi di riferimento, ove è possibile rintracciare testimonianze a supporto di tale potere psicagogico della musica è possibile asserire che, per i popoli antichi, la chiave di volta della questione arte-scienza sia rappresentata dall’anima. Occorre tenere a mente che per quanto possa attrarre mantenere un alone mistico e magico attorno al dibattito, come intorno a qualsiasi forma d’arte, il loro inquadramento religioso appare diametralmente opposto a quello in voga al giorno d’oggi. Nel momento in cui viene a modificarsi il punto di vista, per cui il campo di riflessione e d’azione all’interno del quale ci si muove nel dibattito, occorre accettare la depauperazione dell’anima come spiegazione del legame arte-scienza.
In realtà, l’odierno orizzonte culturale mette al bando ogni scissione dicotomica tra sapere umanistico e sapere scientifico. Entrambi vengono a definirsi come due forme di conoscenza, distinte, due modi differenti di esperire la realtà, tra i quali però si configura un legame di connessione e compenetrazione, ma soprattutto convivenza all’interno dell’uomo. La connessione tra i due ambiti di conoscenza probabilmente sussiste sulla base della definizione del processo di intervento di entrambe, ossia il processo funzionale costitutivo dell’azione artistica e dell’azione scientifica. In tali termini, l’arte è la combinazione creativa di elementi noti in schemi nuovi e sconosciuti. Allo stesso modo la scienza è la sistematizzazione di elementi noti della realtà attraverso combinazioni nuove che determinano regole e leggi più o meno estensibili ad altre collezioni di elementi o fenomeni. In entrambi i casi il nuovo, che sia un quadro o una legge fisica, emerge da elementi conosciuti grazie ad una operazione di proiezione di nuove concatenazioni e correlazioni, che riproducono la realtà ma in maniera diversa da com’era conosciuta.
Di ogni legge scientifica o manufatto artistico, il soggetto che di tali operazioni è protagonista attivo e titolare, funge da filtro della realtà conosciuta e portatore/profeta di una nuova. Questi movimenti dal soggettivo all’oggettivo e viceversa si pongono all’interno di una dinamica chiaramente intersoggettiva, che prevede la condivisione dell’oggetto ottenuto, artistico/scientifico che sia, affinché esso sia riconosciuto nuovo dagli altri soggetti, quindi atto di creazione.
In seguito a tale riflessione, volgendo l’attenzione verso la prima questione relativa la Musicoterapia, ossia la sua oscillazione tra una forma di arte e una forma di scienza, è possibile affermare che in termini di processo non sia presente una differenza costitutiva tale per cui sia richiesta la traduzione di una disciplina in un'altra. È probabile che non si parli di una traduzione, quanto della coniugazione di due saperi, che si muovono in egual maniera, ottenuta attraverso l’azione unificatrice di definizione dell’oggetto di intervento, ossia quella parte di mondo su cui l’azione opera, scientifica o artistica che sia. In entrambi i casi, come detto in precedenza, l’arte come la scienza, operano su una specifica sezione della realtà percepita ed esperita, per cui soggettiva, modificandola. Ma, nel momento in cui la musica assolve un compito medico, quindi di cura, l’oggetto di intervento, che sia l’ uomo, o più specificatamente le sue emozioni o il suo comportamento, poco importa.
Appare rilevante piuttosto la chiave salutogenica di lettura di tale oggetto. Porre in essere una terapia implica la presenza di una patologia, quindi di un modo di funzionare dell’oggetto disfunzionale al suo benessere. Traducendo il tutto in un esempio, se la musica interviene sulle emozioni del soggetto, la Musicoterapia interviene sulle emozioni “malate” del soggetto. Ragione per cui, se della musica siamo tutti fruitori, della Musicoterapia lo sono solo soggetti con particolari patologie o che desiderano un miglioramento del loro stato di benessere, stando alla definizione riportata in precedenza. Da qui discende che l’oggetto di intervento è lo stesso, ma l’obiettivo di tale intervento è differente e si declina in base all’utenza della disciplina in sé.
Che la musica susciti emozioni è un dato di fatto sin dalla notte dei tempi, ma che attraverso la musica si possa intervenire in maniera sistematica sulle stesse per fini terapeutici è nozione sistematizzata all’interno di questa nuova disciplina. Per tali ragioni, facendo riferimento alla seconda questione sollevata in precedenza, la Musicoterapia non è la risultante di un gioco di sottrazione/addizione tra due erudizioni, bensì è, ad un certo livello di approssimazione, l’utilizzo di un’arte per scopi scientifici, o meglio, di una dimensione specifica dell’arte. Ciò che della musica è stato accolto ed utilizzato in ambito scientifico sono i suoi effetti sul nostro sistema cognitivo ed emotivo, quindi il nostro modo di fruire e interpretare la musica, e non di crearla.
In parte, ciò che ha dato sostanza ontologica a tale disciplina non è solo il retaggio culturale derivante da popoli antichi, ma soprattutto i numerosi studi di Neuroimaging susseguitisi nel corso degli anni, attraverso i quali è stato possibile scoprire quali aree del nostro Sistema Nervoso Centrale entrano in gioco e si attivano nel momento in cui il soggetto interagisce, in modi differenti, con la musica, creandola, ascoltandola, eseguendola. In seguito a tali riflessioni, poste in essere come tali e non come verità assolute, si potrebbe concludere che al di là delle somiglianze e dei punti in comune tra l’arte e la scienza, la Musicoterapia si dimostra efficacie quanto figlia di entrambe le discipline a seconda del modo in cui volgiamo lo sguardo verso di essa. Il mondo è complesso, per cui non lo si può descrivere in un solo modo.
Ogni disciplina, ogni punto di vista, ogni mappatura ci fornisce un’immagine particolare e parziale della realtà che ci circonda, che in sé resta inaccessibile. Per tale ragione, trattandosi di visioni della realtà e non della realtà vera, è plausibile che tra le stesse ci sia coerenza come anche incompatibilità. Nel nostro caso, per i Pitagorici la musica racconta la magia dell’anima, per i ricercatori e autori moderni, come lo stesso Benenzon, la Musicoterapia racconta ancora emozioni attraverso studi clinici randomizzati. La sua efficacia, come quella di qualsiasi altra forma di “cura” è data in gran parte da quello che il soggetto in tale terapia vuole riconoscere come espressione del proprio bisogno e contemporaneamente risposta a lo stesso, e non tanto gli “exempla” o le ricerche scientifiche.
Tutte le questioni sollevate in merito a tale nuova forma di cura, potrebbero allo stesso modo riguardare colui il quale esercita tale cura, ossia il Musicoterapeuta. A tal proposito, si può coglierel’occasione per porre una ulteriore domanda chiave che aleggia rispetto a tale figura: il Musicoterapeuta è un artista o un medico? In seno a tale nuovo spunto riflessivo e a tale articolo si ritiene più intrigante e centrata la seguente citazione:
Non è bene che lo scrittore imiti lo scienziato, né lo scienziato lo scrittore; ma non è proibito allo scrittore di sapere, né allo scienziato di scrivere.
Jean Rostand, Pensieri di un biologo, 1954.
Salvatore S., L’intervento psicologico, Roma, Firera & Liuzzo Group, 2015
Benenzon R. O., Manuel de Musicothérapie, Tolouse, privato, 1981